venerdì 6 novembre 2015

i sentieri delle mani


Il vento, fuori, sferza gli alberi in un chiacchiericcio di foglie, fischiando dagli infissi delle finestre. Sono seduto di fronte ad un televisore spento mentre un velo di amichevole malinconia mi avvolge con le sue mani morbide. Tutt'intorno silenzio e la mente comincia a vagare.

Nella penombra osservo i palmi delle mie mani. Sono grandi, induriti e segnati dal tempo e dai tanti oggetti che hanno toccato. Da tutti i pugni in cui si sono nascosti e da tutti quelli che hanno dovuto fermare. Sono le mani di uomo adulto, con centinaia di rughe che nascondono altrettante storie e racconti. Le mani di uomo che fino a poco tempo fa era poco più che un bambino.

Mi sembra di essere cresciuto troppo velocemente, dimenticando quelli che erano i propositi e le ambizioni delle mie piccole mani. Sono diventato grande in un battito di ciglia e ho scordato la strada per l'isola che non c'è!
Sono diventato un uomo, eppure ogni tanto mi chiedo se mi sono trasformato nell'adulto che avrei voluto essere. Mi domando se incontrando il bambino che ero, lui sarebbe orgoglioso di me. Se mi sorriderebbe felice o si allontanerebbe spaventato da un uomo estraneo dalle mani vecchie.

Le vicissitudini, le scelte fatte e subite, gli avvenimenti di una vita passata a guardar correre gli altri per la paura di inciampare, sono un'incudine capace di forgiare anche il metallo più duro e tenace. E come un fabbro è capace di rendere curvi e sottili dei blocchi grezzi di acciaio, così i miei anni mi hanno portato fino a qui attraverso attimi sfuggenti come sabbia. Così tanti da non poterne ricordare il numero.

Non so quante delle scelte che ho fatto nella mia vita siano state mie decisioni e quante invece curve obbligate di una strada troppo tortuosa.
Adesso sono qui, con gli occhi fissi sulle mie mani, domandandomi quante delle rughe che porto addosso raccontano il finale che sognavo da bambino e quante invece siano le interruzioni, le svolte obbligate che sono stato costretto a percorrere.

Ma proprio quando il vento all'improvviso scappa via, mio figlio mi raggiunge correndo e saltellando. Mi guarda negli occhi e mi sorride. Ha lo stesso sguardo di quando ero bambino. Lo stesso lampo negli occhi della spensieratezza e della fanciullezza.

E' lui il bambino che sono stato un tempo.
E mi sorride felice stringendomi le mani.


Sergio


Foto by Fabio Capoccia

lunedì 28 settembre 2015

volere volare


Un rombo assordante squarcia la quiete del cielo con una scia bianca di fumo.
La gente alza il naso all'insù per ammirare lo spettacolo mentre io invece sorrido e chiudo gli occhi.

Un fremito mi attraversa la schiena alla velocità di un fulmine, dissolvendosi in un groviglio di pensieri alla base del collo. I sensi sono soldati sull'attenti mentre l'eccitazione mi scorre sulla pelle in una ragnatela di impulsi nervosi. E' l'atavico desiderio di volare che affascina da sempre coloro, che per loro natura, non possono farlo. Volteggiare leggeri nell'azzurro assoluto di un cielo limpido, scomparire in una nuvola per sbucare, come per magia, in un angolo lontano chilometri.

La fantasia gioca con i ricordi e le immagini appaiono nitide, brillanti. Di una forza magnetica indescrivibile.
Immagino la sensazione di stringere una cloche tra le mani mentre il frastuono del motore mi spinge violentemente ad altitudini vertiginose. Ricordo la sensazione di potere e di distacco nel vedere, sotto i miei piedi, un mondo che diventa sempre più piccolo, in cui minuscoli puntini neri conducono vite affannose e frenetiche. In questo luogo il silenzio ti avvolge più dell'azzurro del cielo e nonostante dispersi in una vastità incalcolabile, ci si sente avvolti in una bolla che galleggia in aria. Leggera.

Sopra le nostre teste sfreccia un altro aereo. Il pilota esegue un giro della morte completo lasciando dietro di sè una densa scia bianca come una pennellata dai contorni imprecisi.
Penso all'ironia di quel nome e di come nel corpo di quel pilota ondate di adrenalina lo facciano invece sentire "vivo". E lo invidio.
Provo ad immaginare le sue emozioni, le sue sensazioni mentre ogni cosa si ferma ed il mondo comincia a girare intorno a lui. Alla consapevolezza di essere talmente lontani dal resto del mondo che anche precipitando, impiegherebbe un'eternità.

Un lungo secondo di silenzio viene alla fine frantumato da nove scie colorate che viaggiano perfettamente parallele. La gente intorno a me esulta. Io continuo a stare in rispettoso silenzio.
Le evoluzioni degli aerei si alternano a quelle nei miei sogni e nei polmoni sento il fuoco del desiderio mentre i ricordi si rincorrono frenetici ed inarrestabili.
Con uno scossone, vedo i miei piedi abbandonare il terreno al di sotto. Sono leggero mentre una forza invisibile mi afferra e mi tira verso l'alto, strattonandomi. Il mare e la terra si allontanano, scappano giù precipitando in un diorama dai mille dettagli.
I miei occhi da bambino stentano a credere a quella prospettiva aliena, estranea. Tutto il resto rimane giù, dimenticato, mentre il sibilo del vento è l'unico compagno di viaggio. Sono immenso sopra un mondo in miniatura e forte come il sole che non riesce più a sovrastarmi.

Non ho paura di cadere. Piuttosto di non voler tornare mai più.

Sergio
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giovedì 13 agosto 2015

l'odore della pioggia


E' un attimo.
Veloce come una lacrima che cade. Come un sorriso che scivola via dal viso.

Il cielo si scurisce avvolto da un velo minaccioso e sinistro. Il sole, splendente fino a pochi secondi fa, viene circondato da nuvole di piombo, grigie come il pelo di un topo. Ed un vento misterioso comincia a serpeggiare nell'aria portando con se l'eco premonitrice di un disastro.

L'atmosfera è sospesa in un'inquietante attesa mentre due uccelli terrorizzati volano lontano in cerca di un riparo. La temperatura crolla. Il vento si gonfia e l'aria si fa pesante mentre i peli sulle braccia si agitano elettrizzati. Poi all'improvviso tutto si scatena.

Miliardi di gocce precipitano da chissà quale distanza con una violenza disperata. Colpiscono ogni cosa con rabbia, cattiveria, mentre il vento nervoso e scostante, le scaraventa divertito alla rinfusa.
Le foglie degli alberi si inginocchiano sotto tanta violenza, intimidite. E la terra si gonfia di rigagnoli che la attraversano come una ragnatela di acqua.
L'aria carica di elettricità, è pregna di un odore di terra bagnata e muffa.

Un lampo congela l'atmosfera in un'istantanea sbiadita mentre tutto intorno il rumore assordante si placa in attesa del tuono.
Il rombo arriva subito dopo, con un urlo sempre più forte di quello che si ci aspettava, tanto da coprire le grida del vento ed il brusio delle foglie.
I rigagnoli sono ormai ingrossati e confluiscono l'uno negli altri diventando pozze e pantani su cui galleggiano avvizziti i cadaveri di cavallette e formiche trascinati dall'impeto dell'acqua.

In lontananza si sentono sbattere violentemente le ante di una finestra aperta. Sembrano le braccia di una bambola di pezza sbatacchiata per gioco da una bimba dispettosa.
Poi ancora un fulmine che in una frazione di secondo squarcia il grigio del cielo in una scarica azzurra.
Trattengo il fiato e conto.
Uno. Due. Tre. E puntuale arriva il fragore del tuono. Assordante.

Il tempo si ferma come quando da bambino guardavo la pioggia dalla finestra. Troppo terrorizzato per aprire le tapparelle e troppo affascinato da rimanere impietrito ad osservare ogni singola goccia cadere. Il profumo nell'aria è lo stesso, come lo stesso è il brivido che sale dalle braccia fino alla schiena inarcando i peli in un ola da stadio.

Il vento sferza ancora gli alberi che ondeggiano stanchi ed inermi. La pioggia, ora pigra ora più intensa, continua a mitragliare imperterrita qualsiasi cosa si frapponga sul suo percorso suicida.
Ancora un lampo e anche la corrente elettrica soccombe a tanta violenza lasciandomi da solo di fronte a tanta potenza distruttrice.

Le ante della finestra lontana hanno smesso di sbattere e anche la pioggia, stanca, si fa più rada.
Non mi ricordo se sono ancora un bambino o sono cresciuto, ma sto ancora davanti alla finestra, paralizzato.
Poi i sogni svaniscono e scivolano via come le foglie che galleggiano sulle pozze d'acqua. La pioggia cessa all'improvviso così come era arrivata ed anche il vento si dissolve nel nulla.
Le nuvole si ritirano e come per magia, ti accorgi che il sole è ancora lì.

Sergio

martedì 7 luglio 2015

la descrizione di un attimo


Al tramonto il mare è un velluto di cristallo.
Un velo increspato su abissi lontani e sconosciuti. E' un libro che sotto una coltre impenetrabile cela misteri e paure, gioie e speranze degradando da un'effimera chiarezza in una profondità dall'oscurità accecante.

Un alito di vento sospinge senza troppe pretese piccole onde svogliate che si rotolano sulla battigia in un mormorio di sassolini cadenzato e lieve. Una nenia di incomprensibili segreti e lamenti.
È un sospiro. La voce sommessa di una confidenza protetta dal pudore e dal candore dell'acqua, sussurrata in una lingua più antica del mondo stesso.

Le dita giocano distratte con i sassi della spiaggia, provando ad immaginarne forme e dimensioni. Sono ancora tiepidi, memori del calore del giorno che muore mentre urtano gli uni sugli altri confondendosi col suono ipnotico delle onde.
L'ultimo raggio di luce li fa brillare come gemme preziose in un arcobaleno umido e fugace.

Il sole è un ricordo recente mentre il mare si ricopre di oro e fiamme. Una voragine che sprofonda in un mondo alieno ed estraneo. Scuro.
Due gabbiani leggeri ed eleganti attraversano il cielo che brucia come un tizzone ardente, mentre l'orizzonte è una pennellata sfumata e indefinita. Sono un lampo veloce che frantuma una statica attesa sospesa ed incerta. Poi più nulla e il mondo ricade in quel fermo immagine, tra i sussurri del vento e delle onde.

Lancio un sasso in acqua per il gusto infantile di ascoltare il tonfo sordo nella quiete di questo momento bloccato nel tempo. Osservo pigro i cerchi sul pelo dell'acqua mentre scappano terrorizzati in tutte le direzioni fino a scomparire, inghiottiti in un liquido oblio. Per sempre.

La brezza leggera mi porta il profumo della salsedine, di posti lontani e di speranze perdute. Mi cinge e mi avvolge. Mi accarezza.
L'aria si fa appena più scura mentre cielo e mare si fondono in un abbraccio indissolubile e traditore, uniti, per lo spazio di un respiro, da una lieve foschia lontana che incolla le illusioni ai sogni.
La mente è sgombra e serena, ammirata da una magnificenza che si ripete instancabile da milioni di anni.
Qualunque pensiero sembra insignificante ed inadeguato. Rimango a guardare in punta di piedi nel timore che il mare si accorga di me. Da un buco della serratura grande come l'orizzonte.

Timida e riservata, la prima stella appare nel cielo in un vestito di un bianco brillante. Falsa e curiosa mi osserva dall'alto, alle spalle. Non parla. Mi guarda con tenerezza in un sorriso materno senza chiamarmi.
E siamo soli, racchiusi in un istante senza fine.

Sergio

Foto by Sergio Consoli

mercoledì 1 luglio 2015

castelli di sabbia


La prima cosa che avverto è il profumo appiccicoso di olio abbronzante al cocco.
Il caldo torrido che fa tremare l'orizzonte sopra la sabbia contribuisce a diffondere nell'aria il suo odore caramelloso. La luce accecante del sole si specchia bianca sulla pelle lucida.

Mi aggiro tra la selva di ombrelloni variopinti, con un asciugamano sotto braccio e uno zaino sulla spalla. Le stuoie e i teli a terra sono un tappeto caotico che riveste la spiaggia in un patchwork gigante, interrompendosi a tratti per lasciare il posto ad un paio di infradito solitarie ed arroventate. Poi borse e secchielli, occhiali che pendono dalle stecche degli ombrelloni e magliette mosse dal vento come bandiere.
La sabbia arde nervosa mentre cerco affannosamente uno spazio da riempire come la tessera mancante di un mosaico.

Guardo distratto verso il mare e mi vedo bambino mentre mi rotolo sulla battigia sospinto dalle onde leggere come un ciuffo di alghe spiaggiato.
Costruivo castelli di sabbia che duravano solo lo spazio tra un'onda e la successiva, e mi divertiva starli a guardare mentre lentamente si scioglievano in un morbido cumulo bagnato. Realizzavo grandi bacini che il mare riempiva rapidamente per il solo gusto di lanciarmi dentro e farmi ricoprire dalla sabbia fresca. Ascoltavo il suono leggero dell'acqua che si perdeva tra i granelli in uno scroscio sussurrato di mille bollicine.
Tra un tuffo ed una buca profonda scavata a mani nude, non mi importava di tutta la gente che mi circondava. Non avvertivo la loro soffocante presenza, come se fossi l'unico essere vivente al mondo, su quella placida spiaggia.
Adesso non riesco a non vedere le persone, devo passargli accanto mentre, unte, si rosolano al sole come lucertole dalle pelle iridescente. Passo vicino ai loro teli facendo attenzione a non ricoprirli di sabbia fine e fastidiosa. E mentre sono ancora alla ricerca di un fazzoletto di spiaggia su cui fermarmi, un venditore ambulante mi propone l'acquisto di qualche film pirata ed un paio di occhiali contraffatti.

Il bambino sul bagnasciuga mi guarda e mi sorride. E' sporco di sabbia, con i capelli arruffati di salsedine. E' affaticato per le acrobazie fatte in mare, con le labbra leggermente violacee per il vento che gli asciuga l'acqua sulla pelle, in un brivido frizzante. Mi sorride.
Io lo guardo ammirato. Invidioso della sua capacità di estraniarsi dalla folla soffocante e dall'odore dolciastro del cocco. Invidioso della sua pelle sporca di sabbia e dei capelli scarmigliati. Del suo sorriso felice.

Dopo altri mille ombrelloni da aggirare trovo un angolino sulla spiaggia. La sabbia è un braciere ardente che fuma sotto i piedi. Stendo il mio telo che qualcun'altro sarà costretto a scavalcare e dallo zaino tiro fuori un libro che ho iniziato a leggere un paio di giorni fa.
La musica accompagna la mia lettura e come un'illusione ben riuscita di un prestigiatore, il caldo si attenua fino a spegnersi completamente. Il vociare confuso scompare insieme alla folla cosparsa di crema e agli ombrelloni conficcati sulla spiaggia dorata. Alzo gli occhi verso l'orizzonte ed il bambino mi sta ancora osservando. Mi sorride ancora. Poi si gira distratto e si tuffa divertito tra la schiuma bianca di un'onda per non riapparire più.
Adesso sorrido anch'io.

Sergio

Illustrazione by Drenda Duff

giovedì 25 giugno 2015

il profumo dei ricordi


Una delle meraviglie del nostro cervello è, secondo me, la memoria.
La capacità di ricordare istanti passati provando le stesse sensazioni di un momento perduto nel tempo, attraversando uno squarcio nella realtà, una finestra in un mondo dimenticato.
E' un meccanismo tanto meraviglioso quanto magico e misterioso. Basta una fotografia ingiallita e sfocata, e come per incanto, nella nostra mente riecheggiano le voci delle persone catturate insieme a noi in quell'attimo appiattito di una Polaroid. Sentiamo sulle braccia il bagnato degli schizzi d'acqua di una foto in piscina o l'emozione ardente di quel bacio donato alla donna della nostra vita.
Gli angoli della bocca si incurvano in un sorriso celato mentre davanti agli occhi si animano le fotografie della gita scolastica di tanti anni fa o di quel compleanno tra amici, quando le candeline da spegnere erano ancora poche e ci si riusciva con un solo soffio.

Basta un'immagine, una frase solitaria che si allontana da un discorso lontano. Basta un odore, un'essenza.
A volte sento il profumo legnoso della resina di pino e senza neanche chiudere gli occhi vedo un albero di natale colmo di luci e di addobbi. Vedo mio padre su una scala che fissa la stella cometa e una calda sensazione di protezione mi avvolge, familiare e rassicurante.
Avverto l'odore acrilico della plastilina,  dei colori a tempera sbavati su un foglio di carta e vedo le mie mani impiastricciarsi di rosso e di giallo, la maestra che gira tra i banchi aiutandoci a completare il "lavoretto" per la festa della mamma in un'aula luminosa, tappezzata di disegni alle pareti.
Percepisco l'odore acre della terra di un circo ed avverto quella malinconica paura nei confronti dei clown, tristi per antonomasia. Il terrore di avvicinarmi ad una scimmietta per una foto che si perderà tra le pagine di un album vecchio e impolverato. Quell'atmosfera buia e caotica che mi faceva stare all'erta, in bilico su delle panche sospese nel vuoto mentre una tigre si umiliava per un boccone di carne.

E' un attimo. Un interruttore istantaneo che ci catapulta in una dimensione parallela in cui le sensazioni e le emozioni sono le uniche costanti che si accendono vivide sulla nostra pelle.
L'odore della sabbia e degli abbronzanti al cocco, il profumo della colonia dei neonati. L'odore di pulito quando da bambino mi tuffavo tra le lenzuola da stirare. La fragranza dell'ostia che rubavo di nascosto all'asilo. Il profumo della pelle della donna che amo.

E' un viaggio nel tempo. Una folata di vento che porta con sè sogni e speranze, paure e tristezze.
Rimanere impietriti all'odore pungente di un pollaio, dove i corridoi tra le gabbie sono talmente stretti da dare l'impressione ad un bambino, di non poter passare senza essere beccato. O quell'indimenticabile essenza di incenso che disegnava volute leggere mentre salutavo per l'ultima volta mio nonno.
Ogni profumo è un volo, un salto in un istante lontano decine di anni. Il tempo passa e lascia i segni indelebili del suo scorrere sui nostri volti, ma il vigore e la vivacità delle emozioni dei ricordi rimane inalterata, immutata.

Sergio

lunedì 22 giugno 2015

fotografia


Sembrerà una frase fatta, ma fotografi non si diventa... si nasce!
Si... perché fotografare non è l'atto del click sulla fotocamera. Non è neanche quell'istante prima che serve a mettere a fuoco il soggetto, in cui velocemente si ripassano tutti i dettagli dell'inquadratura e dei setup della macchina per assicurarsi che tutto sia stato impostato correttamente.
Fotografare è una cosa che viene fatta prima di scattare. Prima di scegliere un'inquadratura o di studiare la luce ottimale. Prima di stabilire i valori di sensibilità, apertura ed esposizione. Prima di chiudere un occhio ed immergersi in una realtà limitata dai bordi del mirino.
Fotografare è una cosa che viene fatta addirittura prima di acquistare una fotocamera!
E' un modo di vedere il mondo, studiarne i particolari, sentirne i contorni. E' l'arte di osservare, cogliere i dettagli e saperli apprezzare. Di riuscire a vedere un'armonia di colori e di forme dove gli altri vedono solo un fiore o un volto. E' la capacità di rimanere stupiti osservando due nuvole che si inseguono in un cielo rosa. La libertà di perdersi nei chiaroscuri di una luce fioca che accarezza il corpo di una modella.
Fotografare è la predisposizione a catturare con gli occhi e con il cuore i profumi della natura, le sue forme, le sue esplosioni di magnificenza. I suoi colori maestosi.

Un fotografo può essere colui che passeggia senza macchina fotografica al collo, ma che riesce ad individuare la leggerezza di una libellula posata su un geranio rosso, in un balcone lontano. E mentre gli altri passeggiano distratti, lui sorride.

La bellezza è racchiusa in tutte le cose. A volte è un po' grezza e nascosta, ma se vedi bene, se stai attento la puoi trovare e liberare per poi catturarla in un istante perenne.
Non si diventa fotografi. Non lo si diventa neanche dotandosi di un'attrezzatura pesante e costosa.
Si nasce curiosi, avidi di assaporare gli attimi che compongono un secondo... un'eternità. Invidiosi di un fiore dai petali carnosi e vellutati, di un insetto e della sua livrea lucente. Delle onde del mare e della loro potenza.

A quel punto rimane poco da fare. Esci la tua macchina dalla borsa, guardi dentro al mirino e...
click...

Sergio

Foto by Sergio Consoli

martedì 16 giugno 2015

la ricchezza dei bambini


Ero davanti al PC a fare conti (che per antonomasia non tornano mai) quando spunta dalla porta dello studio mio figlio. Mi guarda incuriosito e mi lancia un sorriso accattivante, poi con un balzo mi salta sulle ginocchia e si mette a studiare i numeri che affollano il monitor.
Dopo neanche 10 secondi, annoiato, si butta a terra e comincia a giocare con una macchinina vecchia e malandata. La rotea in aria e la fa atterrare come un aereo. Ride.
Sono rimasto a guardarlo per una buona mezz'ora, cercando di capire come, una piccola macchinina rossa potesse dargli tanta gioia. E poi ho capito...

I bambini hanno una capacità straordinaria: quella di vedere montagne ed alberi dove noi "grandi" vediamo solo tavoli e sedie. Attraversano fiumi tempestosi a bordo di una navicella spaziale che ad un adulto può sembrare solo un triciclo di plastica. Camminano sui carboni ardenti, saltano sulle liane e viaggiano nello spazio. Sono imperatori di regni di aria e di sogni. Acrobati di un circo e cavalieri dai bianchi destrieri.
Quando abbiamo perso la capacità di trasformare la realtà in magia?
Un tempo anch'io sapevo volare. Scalavo i monti dei mobili della cucina di mia mamma dopo aver sconfitto draghi e dinosauri terribili. Addomesticavo tigri e leoni con una frusta di carta pesta.
Il mondo aveva confini più ampi di quelli che i miei genitori potevano vedere. Il mio punto di vista era in costante movimento.

Voi conoscete cosa si nasconde sotto le vostre scrivanie? Sotto i tavoli delle vostre cucine?
Mio figlio conosce il mondo che vive a casa mia e per questo lo amo e lo invidio.
A volte mi invita nel suo piccolo universo e anche se troppo sbiaditi, dalla piccola finestra di una casetta di cartone, posso assaporare i profumi di quel mondo che ho deciso di lasciare quando sono diventato "grande".

Sergio

Illustrazione by David Fuhrer
Posted on 18:54 | Categories: